venerdì 13 novembre 2015

Culurgiones di patate e menta con ragù alla salsiccia e zafferano


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Quando ho scoperto il tema dell’MTChallenge di questo mese, lanciato da Monica e Luca, non ho avuto esitazioni: per la mia ricetta avrei attinto a piene mani alla tradizione culinaria della mia regione, magari con qualche piccola concessione creativa. Il Piemonte, d’altronde, vanta una gloriosa teoria di paste fresche ripiene, le cui varianti sono pressoché infinite, ma che vedono come comun denominatore l’arte del riciclo e della valorizzazione degli ingredienti, unita a quella saggezza dei gesti affinata dalla pratica che è in grado di trasformare anche l’alimento più umile in un cibo degno di mense raffinate. 
Quando però ho cominciato a valutare le alternative da proporre mi sono imbattuta in un duplice ostacolo. Da un lato ho subito dovuto abbandonare l’idea che avevo in mente per la difficoltà nel reperire l’ingrediente fondamentale; dall’altro mi sono resa conto che, mentre nella tradizione piemontese gli agnolotti vengono generalmente conditi con il sugo d’arrosto, le cui carni vengono utilizzate come ripieno, la sfida in oggetto richiedeva invece un sugo a lenta cottura che prevedesse l’utilizzo di ingredienti supplementari quali pomodoro, verdure o altri elementi. 
A questo punto ho decisamente accantonato i miei iniziali propositi, ed ecco che alla mente si sono affacciati con prepotenza i culurgiones. Ho avuto la fortuna di visitare diverse zone della Sardegna e questi fagottini di pasta dagli svariati ripieni hanno lasciato un segno indelebile nella mia memoria, a partire da quelli di patate e pecorino che mangiavamo spesso con i miei durante le vacanze di ragazzina nell’isola, fino ad arrivare a quelli – indimenticabili – ripieni ricotta fresca assaggiati in un agriturismo campidano in compagnia di amici. Anche qui si poneva però il problema del sugo: come ogni formato di pasta, anche i culurgiones hanno il loro condimento d’elezione, che nel caso della versione ogliastrina può essere semplice olio extravergine d’oliva o un sughetto di pomodoro fresco completato da pecorino grattugiato. Pensando però che le patate si sposano bene al ragù (basti pensare agli gnocchi o ai tortelli di patate diffusi in alcune aree della Toscana), ne ho preparato uno arricchito dalla salsiccia e profumato di zafferano.
Sperando che i sardi che mi stanno leggendo possano perdonarmi, sia per l’azzardo nell’accostamento di sapori che per la manualità – questa è la mia prima volta alle prese con la formatura dei culurgiones – vi lascio alla ricetta e ad un piccolo video girato dal mio pazientissimo compagno, che mi auguro possa essere utile per chi di voi vorrà cimentarsi.

culurgiones

culurgiones

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Culurgiones di patate e menta con ragù alla salsiccia e zafferano

Ingredienti per 6 persone:

Per i culurgiones
200 g di semola rimacinata di grano duro
100 g di farina 0
150 ml circa di acqua tiepida
1 cucchiaio d’olio extravergine d’oliva
1 presa di sale

700 g di patate a pasta farinosa
100 g di pecorino sardo stagionato
50 g di pecorino sardo giovane (o parmigiano)
1 tazzina d’olio extravergine d’oliva
2 spicchi d’aglio
alcune foglie di menta fresca (io ne ho usate una dozzina)
sale

Per il ragù
[Le dosi indicate consentono di ottenere un quantitativo di ragù molto abbondante rispetto a quello necessario per condire i culurgiones. Il restante può essere conservato in frigorifero, coperto, per alcuni giorni, o congelato in vaschette a chiusura ermetica]

300 g di carne macinata di manzo (il taglio ideale sarebbe il diaframma)
300 g di salsiccia di suino
600 ml di passata di pomodoro, meglio se di produzione casalinga
1 cipolla bianca
1 carota
1 gambo di sedano
1 bicchiere di vino rosso (io ho usato il Barbera)
1 noce di burro
½ cucchiaino di zucchero
olio extravergine d’oliva
sale e pepe
1 presa di stimmi di zafferano (o due bustine)
pecorino grattugiato per servire, a piacere

Alcune ore prima di preparare il ripieno preparare l’olio aromatizzato pestando leggermente gli spicchi d’aglio con la lama di un coltello e lasciandoli in infusione nell’olio in modo che quest’ultimo ne conservi l’aroma.
Cuocere le patate con la buccia e schiacciarle quando sono ancora calde; lasciar cadere la purea in una terrina, farla intiepidire ed unirvi quindi l‘olio aromatizzato privato degli spicchi d’aglio ed i formaggi grattugiati; regolare di sale e completare con la menta fresca sminuzzata al coltello; coprire e lasciar riposare il ripieno almeno mezza giornata prima di confezionare i culurgiones.

Preparare il ragù. Tritare le verdure al coltello o con una mezzaluna; in una pentola di terracotta adatta alle lunghe cotture mettere un abbondante giro d’olio ed una noce di burro ed aggiungere le verdure tritate. Lasciar soffriggere dolcemente mescolando spesso, fino a quando la cipolla risulterà traslucida e le verdure saranno appassite (saranno necessari circa 15 minuti). Aggiungere a questo punto la salsiccia privata del suo budello, sgranandola bene con la forchetta, e lasciar cuocere a fiamma alta; unire quindi la carne macinata e lasciar rosolare il tutto. Quando la carne avrà cambiato colore, diventando uniformemente chiara, sfumare con il vino, lasciando evaporare completamente la parte alcolica. Versare la passata, regolare di sale e pepe ed aggiungere lo zucchero per correggere l’acidità del pomodoro; regolare la fiamma al minimo e far cuocere il ragù coperto per almeno tre ore, rimestandolo di tanto in tanto.

Preparare la pasta riunendo le farine a fontana sulla spianatoia, aggiungere una presa di sale ed un cucchiaio d’olio e versare l’acqua a filo. Impastare energicamente per alcuni minuti sino ad ottenere un panetto liscio e morbido; avvolgerlo in un foglio di pellicola e lasciarlo riposare per circa 30 minuti a temperatura ambiente.
Trascorso il tempo di riposo prelevare una porzione di pasta e stenderla ad uno spessore uniforme di un paio di millimetri; con un coppapasta di circa 8 cm o con l’aiuto di un bicchiere ricavarvi dei cerchi. Distribuire una noce di ripieno al centro della pasta e procedere alla chiusura, pizzicando i lembi di pasta alternativamente da destra e da sinistra, fino ad ottenere un fagottino simile ad una spiga o un fico schiacciato. [N.B: E’ importante stendere l’impasto poco alla volta e mantenerlo coperto perché il contatto con l’aria tende a far seccare la pasta, compromettendo quindi la chiusura dei culurgiones].




Riscaldare la parte di ragù necessaria a condire i culurgiones ed unirvi lo zafferano stemperato in mezza tazzina d’acqua. Tenere in caldo mentre i culurgiones cuociono.
Portare ad ebollizione una capace pentola d’acqua, salare moderatamente e tuffarvi i culurgiones pochi alla volta avendo cura di non far bollire l’acqua troppo violentemente per non rischiare di danneggiarli. Cuocere i culurgiones per circa 3-4 minuti (il tempo di cottura può variare in funzione dello spessore della pasta), quindi scolarli, adagiarli nei piatti in numero dispari e napparli con il sugo preparato. Completare a piacere con una spolverata di pecorino grattugiato.

Culurgiones-di-patate-e-menta-con-ragu-alla salsiccia-e-zafferano

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Con questa ricetta partecipo all'MTChallenge n. 52: I raieu co-u-tuccu





mercoledì 11 novembre 2015

Torcetti di Lanzo


torcetti-ricetta-tipica-piemontese

Tra i cibi inestricabilmente legati alla geografia sentimentale della mia infanzia, ai torcetti spetta senza dubbio un posto d’onore. I miei ricordi di bambina sono costellati di profumi e sapori che si mescolano con i luoghi, gli affetti e quel ventaglio di minute circostanze la cui apparente levità ha in realtà lasciato un segno profondo che a distanza di anni si ripresenta vivido nella memoria. Non è un caso che tanta parte di questo patrimonio intimo abbia una collocazione spaziale a me estremamente cara, ovvero la casa in montagna dei miei nonni materni, dove ho trascorso molti momenti spensierati ed alla quale ritorno con immutato piacere quando gli impegni quotidiani me lo consentono. 
All’epoca, dopo una salita tutta curve che metteva a dura prova il mio stomaco, prima di arrivare a destinazione eravamo soliti fermarci in una panetteria nelle valli di Lanzo, dove spesso, oltre ad una micca dorata e fragrante, i miei genitori acquistavano qualche dolcetto. Il profumo che aleggiava nell’aria e la vista della vetrina ricolma di paste e pasticcini bastavano, come per miracolo, a farmi dimenticare le pene del viaggio, già pregustando il goloso fine-pasto che attendeva avvolto con cura nell’incarto bordeaux. 
E’ da lì che provengono i miei primi ricordi dei torcetti, semplici biscotti di pasta lievitata dalla caratteristica forma a goccia e dalla superficie caramellata tipici di queste zone e diffusi anche nel Canavese, nel Torinese e nelle vallate biellesi, senza dimenticare quelli di Saint Vincent. Ho atteso anni prima di provare a replicarli, perché la paura di andare incontro ad una cocente delusione era più forte della voglia di riassaporare quel gusto pieno e burroso e ritrovare la fragranza di un impasto rustico e croccante. Poi finalmente mi sono arresa al potere dei ricordi ed ho cominciato ad impastare. Nel corso delle mie ricerche ho appurato che esistono innumerevoli varianti di questo biscotto, talune più ricche, cicciotte e “pallide” – soprattutto nel biellese – talaltre con meno burro, più dorate e sottili, del tutto simili a quelle della mia infanzia. Anche il procedimento varia: c’è chi propende per un’unica lievitazione, chi per un impasto sostanzialmente analogo ad una frolla e chi parte da una semplice pasta di pane lievitata per poi unirvi il burro, proprio come i torcetti dovevano essere ai loro albori. Io ho scelto quest’ultima strada ed il risultato mi ha lasciata davvero soddisfatta: addentando i miei torcetti mi è sembrato di tornare indietro di vent’anni.

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I torcetti o “torchietti”, come venivano chiamati per via della forma attorcigliata, nascono tradizionalmente come dolci a base di pasta lievitata arricchita con zucchero o miele, cotti nei forni a legna comuni: essi venivano infornati in attesa che la temperatura del forno fosse sufficientemente elevata per cuocervi il pane e rappresentavano un goloso sfizio per i bambini a cui erano espressamente dedicati. Le prime testimonianze scritte di questo dolce risalgono alla fine del Settecento ma è nel 1854 che la ricetta viene codificata nel “Trattato di cucina, Pasticceria moderna, Credenza e relativa Confettureria” di Giovanni Vialardi, capocuoco del re Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II, il quale fornisce tre differenti versioni di questo dolce. Rispetto alle origini, che rimarcano una sostanziale affinità dei torcetti con i grissini ed in generale ne tradiscono la rustica semplicità, con il passare del tempo questo prodotto subì una lenta evoluzione, fino a diventare una raffinatezza di pasticceria degna di accompagnare il fine pasto nelle ricorrenze familiari.

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Torcetti di Lanzo

Ingredienti:
200 g di farina 00
50 g di farina Manitoba
130 ml circa di acqua tiepida
4 g di lievito di birra fresco
5 g di sale fino
5 g di malto d’orzo (o miele)
80 g di burro morbido (per una versione più ricca si può salire a 100 g)
zucchero semolato q.b.

Sciogliere il lievito nell’acqua tiepida con il malto od il miele e lasciare riposare una decina di minuti, fino a quando sulla superficie si sarà formata la caratteristica schiumetta. Setacciare le due farine in una terrina, unirvi il sale e mescolare in modo da amalgamare gli ingredienti ed impedire in seguito un contatto diretto tra il lievito ed il sale. Aggiungere poca alla volta l’acqua con il lievito ed impastare energicamente dapprima nella ciotola e poi sulla spianatoia per una decina di minuti, fino ad ottenere un panetto morbido e liscio; riporre l’impasto nella terrina, coprire con un foglio di pellicola e lasciar lievitare in luogo tiepido ed al riparo da correnti d’aria per un paio d’ore o fino al raddoppio del volume iniziale.
Riprendere l’impasto, sgonfiarlo ed incorporarvi a poco a poco il burro morbido in piccoli fiocchetti, senza aggiungere il successivo fino a quando il precedente non sarà stato completamente assorbito (se si dispone di una planetaria questo passaggio risulterà più semplice; in questo caso utilizzare il gancio ad uncino e lavorare l’impasto a velocità media durante l’inserimento del burro). Riporre l’impasto nella terrina, coprire con la pellicola e lasciar riposare nuovamente per circa un’ora. Trasferire quindi in frigorifero per 20-30 minuti, in modo che l’impasto si rassodi.
Trascorso il tempo di riposo, infarinare leggermente la spianatoia e ricavare dall’impasto delle piccole porzioni di pasta; arrotolarle fino ad ottenere dei bastoncini lunghi e stretti, del diametro di circa 5mm e di una lunghezza pari a circa 15-20 cm. Unire le due estremità di ciascun filoncino fino a creare la caratteristica forma a goccia dei torcetti, accavallandole leggermente e premendo per fissarle. Procedere allo stesso modo fino ad esaurimento dell’impasto, trasferendo mano a mano i biscotti su una leccarda rivestita di carta forno. Spennellare delicatamente i torcetti con un po’ d’acqua tiepida e quindi passarli nello zucchero in modo che ne risultino completamente rivestiti. Disporli nuovamente sulla leccarda, ben distanziati tra loro, e cuocere in forno caldo a 200° per circa 15 minuti o fino a quando la superficie risulterà ben caramellata.

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Con la ricetta dei torcetti partecipo al giveaway della Baita dei dolci







venerdì 6 novembre 2015

Dukkha


dukkha-miscela-egiziana-di-spezie

Conoscete la dukkha? Io l’ho scoperta anni fa tra le pagine dei libri di cucina e sui blog stranieri e da parecchio tempo mi ripromettevo di provare a prepararla in casa. Si tratta di una miscela di frutta secca, spezie e semi aromatici di origine egiziana e diffusa in tutto il bacino mediorientale, spesso servita in accompagnamento a pane pita intinto in olio d’oliva come spuntino o apri-pasto. Tra gli ingredienti basilari non possono mancare le nocciole, i semi di sesamo, il coriandolo ed il cumino, ai quali a piacere possono essere aggiunte altre varietà di frutta secca (pistacchi, noci o mandorle), semi di girasole, nigella o finocchio ed erbe aromatiche quali timo o maggiorana. 
Preparare la dukkha è molto semplice, sebbene richieda un certo tempo; inoltre è altamente raccomandato l’uso del mortaio, che consente di ottenere una miscela più rustica ed irregolare, conservando la consistenza dei vari ingredienti. Una volta pronta, potrete utilizzare la dukkha per conferire un’interessante nota di esotismo ai vostri piatti: si tratta infatti di un mix molto versatile, ideale da cospargere su verdure arrostite, zuppe, formaggi ed insalate, ma anche come croccante ed insolita panatura per carne o pesce. 
La versione che vi propongo è piuttosto essenziale e rispecchia i miei gusti nelle proporzioni fra gli ingredienti, perciò vi invito a tentare degli esperimenti e trovare la vostra ricetta, lasciandovi guidare dal naso e dall’istinto. Tenete presente che il risultato può variare molto in base alla freschezza e all’intensità delle spezie che utilizzate, che quindi vanno dosate con cura. Vi raccomando inoltre di prestare attenzione durante la tostatura, perché il rischio di bruciare i semi è elevato: quando cominciano a scoppiettare e ad emanare il caratteristico profumo, toglieteli immediatamente dalla padella, in modo da interrompere la cottura. Una volta pronta, la dukkha si conserva per circa un mese in un barattolo a chiusura ermetica, lontano da fonti di luce e calore.

nocciole

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Dukkha (miscela egiziana di frutta secca, semi e spezie)

Ingredienti per un vasetto:
70 g di nocciole (peso da sgusciate)
20 g di pistacchi (peso da sgusciati)
2 cucchiai colmi di semi di sesamo
1 cucchiaio di semi di coriandolo
1 cucchiaino raso di semi di cumino
1 cucchiaino raso di timo secco
½ cucchiaino di grani di pepe bianco
½ cucchiaino di sale marino integrale

Scaldare una padella dal fondo spesso e tostarvi le nocciole, smuovendole spesso per non farle bruciare; quando la pellicina comincia staccarsi dai frutti e la superficie risulta leggermente dorata, trasferire le nocciole in un canovaccio pulito e sfregandole delicatamente rimuovere la buccia. Procedere allo stesso modo con i pistacchi.
Tostare quindi separatamente i semi di coriandolo, cumino e pepe per una trentina di secondi o fino a quando cominciano a scoppiettare e trasferirli man mano in una ciotola; infine tostare i semi di sesamo fino a quando cominciano a prendere colore.
Con mortaio e pestello sminuzzare i vari ingredienti, cercando però di mantenerne la consistenza. Unire il timo ed il sale, mescolare bene e trasferire la dukkha in un barattolo a chiusura ermetica, dove può essere conservata per circa un mese.

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