Ho almeno un altro paio di idee per la testa, ma per onorare il senso della
sfida sulle zuppe lanciata da Vittoria ho voluto che la prima ricetta fosse fortemente ancorata alla tradizione: quella della mia regione, anzitutto, ma in particolare della Provincia Granda, che ormai da un decennio mi ha adottata, ammaliata con i suoi tesori ed infine è diventata casa.
Così ho preparato la mia prima cisrà: sostanziosa e corroborante zuppa di ceci della tradizione langarola, divenuta ormai uno dei piatti-simbolo della cittadina di Dogliani e della sua Fiera dei Santi. Tale ricorrenza ha origini molto antiche e si svolge da secoli il 2 Novembre: essa segnava la conclusione dell’anno agricolo e per la gente di Langa rappresentava l’ultimo grande appuntamento per provvedere agli acquisti in vista della stagione invernale. Un tempo Dogliani era infatti un importante crocevia di traffici in vista della sua posizione favorevole, ed in occasione dei mercati e delle fiere annuali nelle sue strade si riversavano grandi folle, che spesso dovevano percorrere distanze ragguardevoli.
La popolarità della cisrà nasce proprio da questa consuetudine: si racconta infatti che, già a partire dal Seicento, i membri delle Confraternite dei Battuti fossero soliti offrire una ciotola fumante di questa zuppa ai fedeli che giungevano alla fiera, stanchi ed affaticati, per assistere alle funzioni religiose e fare provviste di generi di prima necessità.
Oltre ai ceci ed alle trippe - in alcune versioni sostituite dalle costine di maiale - secondo le antiche ricette questa zuppa si compone di svariate verdure di stagione provenienti dagli orti locali e delle zone circostanti, tra cui i delicati porri di Cervere e la zucca di Piozzo, oltre a cavoli, patate, carote e rape, cotti a lungo a fuoco dolce e serviti infine nelle tipiche scodelle in ceramica, altro vanto della rassegna.
La versione doglianese è forse la più conosciuta, ma la cisrà è diffusa anche in altre aree contadine del Piemonte, in particolare nell’astigiano, dove in genere la trippa viene sostituita dalle cotiche fresche di maiale, insaporite con erbe aromatiche e spezie.
Il termine “Cisrà” si riferisce alla denominazione dialettale dei legumi che stanno alla base di questa gustosa zuppa, la quale nasce come piatto povero delle genti di collina. Pare che un tempo per prepararla venissero utilizzati i cosiddetti “ceci neri” o “mezzi ceci”, ovvero quelli non adatti alla vendita e quindi scartati perché più piccoli, scuri e spesso rotti. Mentre i ceci integri venivano destinati alle tavole dei ricchi, questo prodotto di “seconda scelta” rappresentava il sostentamento delle popolazioni contadine, che fino a pochi decenni fa erano solite coltivare questa leguminosa tra i filari delle vigne.
In epoche più recenti i ceci neri sono stati sostituiti dai ceci di Nucetto, prodotti in quantità limitate nell’Alta Valle Tanaro e valorizzati da un Consorzio di tutela.
Infine, una piccola curiosità. Pare che un tempo, la sera della Commemorazione dei Defunti, nelle famiglie contadine fosse usanza diffusa lasciare sul tavolo della cucina un piatto di zuppa di ceci da offrire alle anime dei morti, che facevano ritorno alle loro case per scaldarsi al calore del focolare e ristorarsi con le semplici vivande imbandite per loro. A questo proposito, è importante sottolineare il profondo valore rituale che alcuni alimenti giocano nella commemorazione di tale ricorrenza, nella quale credenze pagane e fede cristiana si intrecciano e si sovrappongono: il trapasso dalla vita alla morte ricalca la conclusione della stagione agricola e l’inizio di un periodo di riposo in vista dell’inverno: in quest’ottica i legumi, in particolare fave e ceci, ed i cereali, spesso elaborati in forma di pani o dolci, diventano rappresentazione simbolica del ciclo della vita che continua oltre la morte ed auspicio di prosperità.
Cisrà – Zuppa di ceci della tradizione piemontese
La versione doglianese prevede l’utilizzo della trippa. Non amandola, ho preferito sostituirla con le costine di maiale, seguendo una delle varianti diffuse di questa zuppa, la cui ricetta, come tutti i piatti della tradizione, cambia di famiglia in famiglia e spesso si piega alle disponibilità dell’orto e della dispensa.
Un elemento importante per la buona riuscita è la cottura prolungata a fuoco dolce in una pentola di coccio, che trattiene il calore e lo diffonde uniformemente. Se poi disponete anche del classico putagè, elemento imprescindibile nelle cucine di una volta, tanto meglio: la vostra zuppa ne guadagnerà in sapore.
Ingredienti per 4-6 persone:
250 g di ceci secchi
3 costine di maiale, divise a metà
1 patata media
1 carota
1 gambo di sedano
1 porro (ideale quello di Cervere, particolarmente dolce e delicato, la cui fiera si svolge nel mese di novembre nell’omonima cittadina)
150-200 g di zucca (peso al netto degli scarti)
3-4 foglie di cavolo
1 rametto di rosmarino
2 foglie di salvia
1 foglia di alloro
1 cucchiaio di doppio concentrato di pomodoro
olio extravergine d’oliva
sale e pepe
½ cucchiaino di bicarbonato
pane casereccio, per accompagnare
Mettere i ceci in ammollo in abbondante acqua con 1/2 cucchiaino di bicarbonato per 24 ore.
Mondare e lavare tutte le verdure sotto acqua corrente. Affettare il porro a rondelle sottili, eliminando la parte verde più legnosa; tagliare il sedano e la carota a brunoise. In una pentola di coccio scaldare un giro d’olio e soffriggervi dolcemente le verdure preparate per circa 10- 15 minuti, mescolando spesso. Unire quindi la patata e la zucca a cubetti, i ceci scolati ed il cavolo a striscioline e lasciare insaporire. Legare le erbe aromatiche con un giro di spago da cucina ed aggiungere alle verdure il bouquet garni. Coprire con abbondante acqua, aggiungere il concentrato di pomodoro e lasciar cuocere a fuoco lento dalle due ore e mezza alle tre ore, mescolando di tanto in tanto.
Sbollentare intanto le costine in abbondante acqua in ebollizione per pochi minuti, in modo da sgrassarle parzialmente; scolarle ed aggiungerle alla zuppa. Lasciare cuocere ancora un’ora: al termine della cottura i ceci dovrebbero risultare teneri e la carne dovrebbe staccarsi facilmente dall’osso. Regolare di sale e pepe e servire la zuppa molto calda, accompagnata con fette di pane casereccio leggermente abbrustolite.